L’ek-sistenza, il poter stare con la mente al di fuori del proprio esserci, lo sporgersi fuori rispetto al proprio essere, è lo specifico umano, ciò che provoca angoscia, dolore, paura, noia negli aspetti negativi, e gioia, amore, amicizia, profondità di pensiero, creatività artistica negli aspetti positivi.
Il miscuglio di tutto ciò conduce qualche volta a chiedersi perché esisto, perché sono qui, capitato proprio qui, con questo corpo e con questo carattere che sono il mio destino, e talora la mia prigione.
Perché sono destinato all’inquietudine generata dal mio destarmi alla coscienza di esistere?
Perché non avrei potuto semplicemente essere, come gli alberi che vedo dalla finestra, come le nuvole del cielo, come le pietre che calpesto mentre cammino che se ne stanno molto più tranquille di me?
Il mito di Genesi 3, ben più in profondità della dogmatica cristiana tradizionale che lo legge moralisticamente in termini di peccato originale ( a differenza dell’ebraismo che si è sempre guardato dal cadere in questo equivoco ), indica precisamente l’amaro ma necessario risveglio della coscienza all’ek-sistenza.
Mangiare il frutto dell’albero della conoscenza significa giungere ad ek-sistere, non ritrovarsi più nel circolo chiuso dell’esserci, sentire e capire che rispetto al proprio esserci si sporge all’infuori, e che in questo sporgersi si può anche precipitare, e la mente infatti talora avverte che se ne può andare via, lontano dal proprio corpo, ed anche dalla propria psiche, e che si può giungere a non volere più essere nel senso di non volere più ek-sistere, vuole mettere fine a questa sporgenza della punta più alta della propria energia, vuole tornare a conciliarsi con l’essere muto, ed essere come una cosa, come una pietra, non più ek-sistere, ma solo sistere, stare; e così vende la sua libertà, la consegna, ed in questo senso la tradisce, oppure talora persino la sopprime, uccidendosi.
L’ek-sistenza libera è per definizione condizione inquieta, drammatica, a volte anche tragica.
Credere in Dio significa sperare che questa strana ed innaturale inquietudine generata dall’ek-sistenza ( il cor inquietum di cui scrive Agostino all’inizio delle confessioni ) non sia uno scherzo beffardo della natura per far soffrire di più una particolare specie animale rispetto alle altre colmandola di paure e di illusioni, ma il segno di una dimensione ulteriore dell’essere cui è possibile accedere, e già da ora, nella normalità della vita, sperimentare ( il requiescere in te, cui Agostino consegna il cor inquietum ).
Brano tratto dal libro che sto leggendo; “Io e Dio, una guida dei perplessi” di Vito Mancuso.