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Discussione: L'insostenibile armonia della natura

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  1. #11
    Opinionista L'avatar di gillian
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    È probabile che la citazione della Bibbia da parte dell'autore non sia delle più felici ... D'altra parte non è il mio terreno ... L'ho riportata in quanto l'ambiguità sul lavoro trova riscontro ... sempre a mio avviso, in quello che l'autore sostiene successivamente.

    "Tale visione si rafforza nella sofisticata pòlis di Atene, quando gli “uomini liberi” - liberi di pensare, discutere e votare - erano appunto tali perché liberi dal lavoro – attività adibita agli schiavi!

    L’aristocrazia, il clero e il popolo di tutti i tempi e luoghi non hanno mai avuto dubbi su quanto fosse ignobile per un aristocratico lavorare, e quanto invece il volgo fosse destinato a servire questi ultimi col duro lavoro necessario alla propria sopravvivenza – tutti con la serenità di condividere una legge di natura, nonché la benedizione divina!

    Poi, a partire dalla rivoluzione borghese del XVIII secolo, il lavoro ha assunto forti valenze positive, diventando: condizione di affermazione personale e di crescita sociale (“Il lavoro nobilita l’uomo”); un possibile epitaffio (“ha dedicato la propria vita al lavoro”); fondamento di repubbliche (il primo articolo della costituzione italiana), e – sul versante ironico… - conditio sine qua non sessuale (“chi non lavora, non fa l’amore.” - Celentano dixit, proprio durante la stagione di scioperi dell’“autunno caldo” – guarda caso…).

    L’imprimatur filosofico a quest’impensato nuovo status del lavoro è stato conferito da Karl Marx, con la sua rivoluzionaria affermazione: “Il lavoro crea l’uomo”. Da quel momento l’essere umano non è tale, non esiste, è nulla – senza il lavoro!

    Com’è stata possibile una così repentina e sconvolgente “trasvalutazione” del lavoro, da valore molto negativo a valore assolutamente positivo, e soprattutto – a quale scopo?

    E in quale misura il nostro sistema psicofisico e cognitivo è riuscito ad assorbire la nuova concezione del lavoro, oppure con quali sintomi mostra di patire tale evidente ambiguità storico-culturale?"

    Poi, a partire dalla rivoluzione borghese del XVIII secolo, il lavoro ha assunto forti valenze positive, diventando: condizione di affermazione personale e di crescita sociale (“Il lavoro nobilita l’uomo”); un possibile epitaffio (“ha dedicato la propria vita al lavoro”); fondamento di repubbliche (il primo articolo della costituzione italiana), e – sul versante ironico… - conditio sine qua non sessuale (“chi non lavora, non fa l’amore.” - Celentano dixit, proprio durante la stagione di scioperi dell’“autunno caldo” – guarda caso…).

    L’imprimatur filosofico a quest’impensato nuovo status del lavoro è stato conferito da Karl Marx, con la sua rivoluzionaria affermazione: “Il lavoro crea l’uomo”. Da quel momento l’essere umano non è tale, non esiste, è nulla – senza il lavoro!

    Com’è stata possibile una così repentina e sconvolgente “trasvalutazione” del lavoro, da valore molto negativo a valore assolutamente positivo, e soprattutto – a quale scopo?

    E in quale misura il nostro sistema psicofisico e cognitivo è riuscito ad assorbire la nuova concezione del lavoro, oppure con quali sintomi mostra di patire tale evidente ambiguità storico-culturale?"

    È d'altra parte evidente uno sconfinamento dell'autore dell'articolo in considerazioni socio-economiche nonché storico-culturali (addirittura bibliche!) che ben poco hanno da vedere con la dinamica non lineare degli stati di natura caotica la cui caratteristica è rappresentata dalla concezione che un minimo mutamento dello stato può causare conseguenze imprevedibili e cambiare in maniera sostanziale tutti i paradigmi iniziali.
    Tutto ciò, fino ad allora è stato un concetto inconcepibile portando una vera e propria rivoluzione nella concezione della fisica post newtoniana quando le relazioni lineari causa-effetto spazio-temporali hanno imperato per secoli!
    Ultima modifica di gillian; 22-03-2021 alle 00:02

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