Ecco, allora, che la natalità diventa una questione più grande. Un tema che ha che fare con i desideri e i sogni degli italiani. Nessuno escluso.
Ormai fare un figlio è diventato un lusso, se è vero che è una delle prime cause di povertà.
Ma come può diventare fonte di povertà la nascita di un bambino? Un tempo era ricchezza.
Oggi è uno dei cambiamenti che mette in difficoltà le famiglie.
Senza contare che se non riparte la natalità, se non riusciamo a rendere più sostenibile l’equilibrio intergenerazionale crolla tutto.
Vivaddio: gli anziani vivono sempre più a lungo. Ma se diminuiscono i giovani, cosa accadrà tra una decina di anni?
Banalmente: chi pagherà le pensioni se si assottiglia il numero di chi paga le tasse?
Ci può essere “Green Economy” e uno sviluppo sostenibile senza un equilibrio generazionale?
Ci può essere una vera innovazione senza giovani?
Potremo ancora permetterci una rete di servizi sociali per i più fragili adeguata se crolla il numero dei lavoratori?
Come potremo far crescere il Pil se continuiamo ad avere un segno meno riguardo il numero delle nascite?
E ancora: la sanità sarà ancora gratuita, se ogni 1.000 lavoratori ci sono - già oggi - circa 600 pensionati?
Non ci sono dubbi: la natalità è la nuova questione sociale, perché se non interveniamo ora, crolla tutto.
Ed è una questione sociale universale, che riguarda tutti, anche chi i figli – liberamente – non li ha voluti o non li vuole fare e non desidera figli propri. Perché riguarda il futuro.
Perché ha che fare con la speranza di un popolo.
Perché anche chi sceglie liberamente di non avere figli propri (mettere al mondo o non mettere al mondo un figlio non deve mai essere un obbligo) avrà bisogno delle generazioni di domani.
Siamo tutti genitori del Paese di domani.