Originariamente Scritto da
axeUgene
cerco di essere sintetico e chiaro:
a) la posizione delle chiese cristiane - tutte - sulle qualità divine deriva dalla Scolastica, che è la filosofia/teologia medievale che ha elaborato quegli assoluti divini, onnisciente, onnipotente, ecc...
b) le chiese riformate però eccepiscono un intervento divino diretto sulle coscienze, come da Paolo, Agostino, ecc...
c) alla fine, a denti stretti anche la Chiesa cattolica ammette il primato della coscienza, anche se questo in parte inficia il potere magistrale della Chiesa stessa;
nel caso dei riformati, l'incentivo sta nel partecipare alla legge divina; nel caso della Chiesa cattolica pure, ma dalla porta di servizio si cerca di far rientrare il principio di obbedienza al clero - che i riformati hanno invece abolito come ordine consacrato e prevalente - e di gestire il gregge in modo "politico", restando nell'indefinito sul piano teologico;
da qui la bipartizione, per cui per i riformati la spiegazione è quella paolina, di una predestinazione di fondo in un quadro di volontà imperscrutabile;
i cattolici devono ammettere l'imperscrutabile volontà divina, ma non vogliono rinunciare al loro Magistero, e quindi, invece di dire esplicitamente che Dio agisce direttamente e unilateralmente sulle coscienze - che quindi devono avere il primato come regola - dicono solo che il motivo per cui Dio permette il male è un "mistero", lasciando la questione in sospeso per i secoli a venire;
ma la questione in sé può anche essere poco interessante per l'argomento specifico del senso mitologico del peccato originale;
il vero punto su cui riflettere sarebbe:
è possibile definire davvero come peccato di disobbedienza - quindi intenzionale, maturo e consapevole, perché peccare presuppone la comprensione delle conseguenze delle proprie azioni - la curiosità adamitica che, a lume di buon senso dovrebbe indicare esattamente quella prerogativa di somiglianza dell'uomo a Dio, intesa da Dio stesso, e che questo peccato abbia determinato quell'esilio come
punizione, anziché come promozione mediante la stessa conoscenza e coscienza ?
qui non c'è solo l'illogicità del postulare una disobbedienza maligna da parte di un soggetto incapace di intendere e distinguere tra bene e male, ma anche un equivoco di fondo su quella natura umana ad immagine e somiglianza, che da una parte viene enunciata, salvo poi denunciarla come peccaminosa, nel tentativo diffidente di respingere quella natura privilegiata e intelligente, autonoma, al rango di quella degli animali mansuefatti;
a prescindere dalle disquisizioni dotte, il punto è rilevante per la psicologia del credente e per come guarda al prossimo, se come persona a cui dare fiducia e responsabilità, oppure di cui diffidare e da controllare, al quale imporre il proprio magistero - e interessato potere - perché quel desiderio di conoscenza è peccato, alla faccia di Dante, dell'Umanesimo e dell'Illuminismo;
poi, tutto è lecito; si può perfettamente ammettere il mito della disobbedienza, anche se è strutturalmente illogico; ma poi ci si ritrova in quel girone della diffidenza senile verso il prossimo, del rattrappimento dei sentimenti e della nostalgia frustrata per la capacità di desiderare, che guarda in cagnesco chi è ancora capace;
una cosa piuttosto
trista, nel senso nostro