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Nella stessa pagina del quotidiano che ho citato nel precedente post c’è anche un articolo della professoressa Francesca Trivellato, studiosa di storia culturale, economica e sociale nel primo periodo moderno.
E' titolato “Alle origini di una atavica disparità economica”.
La Trivellato dice che nel 2020 l’1% degli italiani deteneva il 22% della ricchezza nazionale privata, il 5% ne aveva il 40%. Nel XIV secolo le percentuali rilevabili in vari centri della penisola erano sostanzialmente analoghe.
La tendenza della disuguaglianza economica a crescere nel tempo non è recente e neppure inevitabile.
Prima del conflitto mondiale del 1914 – ’18 solo la “peste nera” del 1348 (che falcidiò oltre un terzo della popolazione europea) ebbe l’effetto di appianarla. Se ne deduce che la disuguaglianza può aumentare anche in periodi di stagnazione economica.
A determinare la disuguaglianza economica non sono le calamità naturali ma le politiche fiscali e i regimi successori adottati dalle élite al potere.
Questi risultati impongono che all’analisi dei dati quantitativi si affianchi quella dei valori e dei presupposti ideologici che hanno indotto tali politiche.
Nel ‘400 fu la legittimazione culturale dei profitti tratti da operazioni finanziarie a consentire a famiglie prive di pedigree, come i Medici a Firenze, di scalare i vertici dello Stato. Ma proprio a Firenze e in altre città governate da oligarchie di nuova estrazione, il divario economico crebbe ancor più che nelle terre di antico dominio feudale.
Perché dopo 200 anni dalla Rivoluzione francese non a tutti è data la medesima opportunità di arricchirsi ? Perché le disponibilità economiche non azzerano i pregiudizi ?
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