...e non solo a loro: anche a chi vorrebbe, desidererebbe o in qualche modo sogna di poterlo un giorno diventare. Anche per chi è solamente figlio, un valido argomento per aiutarlo a capire le dinamiche dei rapporti all'interno del nucleo familiare.
La giornalista Valeria Balocco ha chiesto allo psicoterapeuta Alberto Pellai di scrivere una lettera rivolta ai genitori del terzo millennio. Moltissimi e attualissimi gli spunti che sollecitano la nostra riflessione...
"Cari genitori, i nostri figli sono la più grande occasione che la vita ci ha fornito per trasformarci ed evolverci. Vengono al mondo e ci obbligano a costruire un ponte tra la storia da cui veniamo e quella verso cui ci muoviamo. Si dice che i genitori fanno nascere un figlio. Ma la verità è che quello stesso figlio prende per mano due adulti e con la sua vita li fa nascere genitori. La sfida più grande per noi genitori del terzo millennio è questa: non soffocarli con quell’eccesso di ansia e aspettative che ci contraddistingue.
Non limitare il loro desiderio di infinito e di scoperta, chiudendoli nella gabbia dell’iper protezione, spingendoli verso la trappola dell’eccesso di performantività e di richiesta di perfezionismo. Lasciare che facciano le loro prove di volo, che sfidino la forza di gravità con cui a volte la vita li spinge verso terra proprio mentre stanno provando a toccare il cielo con un dito. Saper stare un passo indietro, dare loro una spinta, fare il tifo per loro senza occupare i loro spazi o obbligarli ad adeguarsi alle nostre aspettative invece che ai loro desideri, mi ha spesso regalato l’emozione – bellissima – della sorpresa e dello stupore. Imparare a coltivare il desiderio vuol dire aiutarli a non avere paura di fare i grandi salti con cui la vita ti chiede di metterti alla prova e di diventare grande. Per noi genitori vuol dire essere giardinieri e non scultori. Ovvero lasciare che un seme diventi fiore, avendo cura del terreno in cui lo abbiamo seminato. Mentre troppo spesso, oggi, noi genitori trattiamo i nostri figli come blocchi di marmo, di cui noi vogliamo essere scultori, lavorando ogni giorno di cesello e scalpello, perché abbiano la forma perfetta che noi abbiamo in mente e alla quale chiediamo loro di aderire.
Sperando che il desiderio che noi abbiamo per loro, coincida con il desiderio che loro dovrebbero avere per sé stessi. È questo l’autogol di cui non dobbiamo mai diventare autori: farli diventare ciò che noi vogliamo che siano. Perché un figlio ci chiede una sola cosa: aiutami a diventare chi davvero io voglio essere".
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