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Opinionista
Due film provenienti da Venezia, entrambi candidati all’Oscar per il miglior film.
“The Brutalist” (2024) di Brady Corbet
Lazlo Toth è un architetto ungherese di origine ebrea che raggiunge suo cugino negli States subito dopo la seconda guerra mondiale, lasciando la moglie in Ungheria. L’occasione si presenta quando un magnate di Filadelfia gli commissiona un’opera da costruire su una collina che comprende una cappella, una libreria e una palestra. Toth progetta la costruzione come opera unica la quale, una volta conclusa, rappresenterà la sua visione della segregazione patita a Buchenwald. Il film mette a dura prova la resistenza dello spettatore per la sua durata, tre ore e mezza compreso un intervallo di 15 minuti. La sceneggiatura non è che sia così ricca, sono le scene ad essere molto lunghe all’interno di un’unica traccia narrativa malgrado il film si dipani nell’arco di 30 anni. Il protagonista è appunto Toth, gli altri personaggi vengono sviluppati in misura minore e ruotano sempre attorno a lui. Le riprese sono state effettuate con pellicola da 35 mm, formato VistaVision, anche se la maggior parte delle copie sono state distribuite con il più comodo digitale. In ogni caso la fotografia non ha perso la sua efficacia e la regia di Corbet (premio a Venezia) è ragguardevole, con alcune sequenze davvero magnifiche come ad esempio quella dedicata a Carrara e al suo marmo. Inutile dire che l’interpretazione di Adrien Brody è la migliore vista nel corso dell’ultimo anno; il suo risentimento mostrato nei confronti del mondo e delle persone, ma in generale la sua condizione di immigrato e perseguitato, anche quando raggiunge il riconoscimento, è da manuale (dovrei dire da oscar). Con “The Brutalist” non si può non pensare a “Megalopolis”, perché anche in quel caso il protagonista era un architetto visionario e futurista. Ma mentre il film di Corbet, con i suoi difetti, è un film riuscito, non direi lo stesso per quello di Coppola.
Osservando le opere architettoniche mostrate a conclusione del film si potrebbe pensare di Lazlo Toth come di un grande architetto effettivamente esistito; invece è frutto della fantasia degli sceneggiatori, tra cui lo stesso regista, ed ispirato dal libro “The Fountainhead” di Ayn Rand che ho avuto occasione di leggere qualche anno fa.
The Brutalist ****
“Ainda estou aqui” (2024) di Walter Salles
Della dittatura brasiliana non si è mai saputo troppo e poco si è indagato qui da noi, a differenza di quelli in Cile e Argentina. Il film racconta la vicenda che coinvolse una famiglia borghese di Rio accusata di appoggiare i sovvertitori comunisti che cercavano di opporsi alla situazione scaturita dal colpo di stato del 1965. Gli avvenimenti iniziano nel 1970 e nella prima parte nulla sembra presagire la catastrofe che si abbatterà nei confronti del capofamiglia, ingegnere ed ex deputato e di sua moglie. Si vedono i loro 5 figli nelle loro normali attività estive con giornate passate al mare e a feste private come era consuetudine a quei tempi, con la musica suonata grazie ai giradischi e la presenza di molti amici in casa. Di lì a poco le loro vite verranno stravolte e i loro diritti calpestati, con l’angoscia che non li abbandonerà per anni. A Venezia il film ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura e come “Emilia Perez” agli Oscar concorrerà in entrambe le categoria per il miglior film, quella generale e quella internazionale per il Brasile, mente Fernanda Torres in quella per la miglior interpretazione femminile. L’attrice è notevole nel riuscire a interpretare i sentimenti di una donna che deve sopportare la situazione capitatale senza farla pesare eccessivamente ai figli a cui deve dare una speranza di vita.
Ainda estou aqui ***
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