Caro Cono, redentore benedicente e imago pietatis, t’informo che è stato pubblicato l’interessante saggio titolato: “La famiglia naturale non esiste”, scritto dalla sociologa della famiglia Chiara Saraceno, ex docente universitaria nell’Università di Torino.
La lettura di questo libro, che spero acquisterai, ti provocherà l’orticaria e minerà le tue certezze inculcate dalla morale di “santa madre chiesa”.
La Saraceno dice che la famiglia naturale è un’invenzione culturale, e spiega perché.
L’aggettivo ‘naturale’ è spesso utilizzato per ostacolare le forme di unione, di amore e di filiazione che vanno al di là del dato biologico.
La famiglia è un luogo di osservazione privilegiato per raccontare i cambiamenti profondi della cultura e della società, tanto che il libro – alternando riflessioni teoriche, ricostruzione dei cambiamenti avvenuti e memoria personale di tante ‘battaglie’ intraprese – diventa un ritratto dell’Italia degli ultimi cinquant’anni.
La sociologa ha detto che per famiglia naturale, o tradizionale, si intende quella formata da una coppia eterosessuale legata da matrimonio, con distinzione nei ruoli di genere e votata alla procreazione. E’ un modello che non esiste, spiega l’esperta, ma che fatichiamo a “lasciar andare” perché è “come pensiamo di concepirla da sempre”: una tendenza non solo italiana dovuta al fatto che “la prima dimensione che conosciamo venendo al mondo è proprio quella familiare. È al suo interno che impariamo cosa sia una relazione. Ed è per quello ci sembra ‘naturale’.
Ma dire che la famiglia naturale non esiste non significa negare la legittimità di questa forma di legame umano. Significa piuttosto riconoscere che non è un modello unico né universale: la storia e l’antropologia ci mostrano infatti che le società umane hanno sempre creato una grande varietà di forme familiari, e che perfino all’interno della stessa civiltà il concetto è cambiato ripetutamente, adattandosi ai contesti e ai bisogni del momento.
Per fare un esempio, secondo Saraceno, anche l’idea che la famiglia debba basarsi sull’amore e sulla libera scelta degli individui è, in realtà, recente. Non era così fino a poco tempo fa nemmeno in Occidente, e in molte culture del mondo non lo è ancora oggi. Senza contare le profonde differenze legate al contesto sociale: la famiglia del proletariato, ad esempio, è sempre stata molto diversa da quella della nobiltà, sia nelle dinamiche che nei significati.
Dunque, dire che “la famiglia non è naturale non vuol dire che è contro natura; vuol dire che anche quella che pensiamo essere la famiglia naturale non sta nella natura, altrimenti vorrebbe dire che nella maggior parte della storia le persone si sono aggregate in famiglie contro natura”.
La famiglia è un’invenzione culturale. Ma come si formano queste ‘invenzioni’? “Sedimentandosi nelle pratiche, nei rapporti con le religioni e i regolamenti degli Stati, dove ci sono, e con le necessità del tempo”.
Nello specifico, “ciò che definisce l’appartenenza o meno alla famiglia cambia nel tempo”, sottolinea l’esperta ricordando che “per molto tempo, in modo diverso a seconda della società, ciò che ha definito i confini della famiglia è stata la filiazione: decidere di chi sono i figli, a chi appartengono. Da questa necessità in diverse società è derivata l’esigenza di controllare la fecondità femminile”.
Un esempio di come sia il diritto, e dunque un dato culturale, a decidere cosa sia famiglia e cosa no, la sociologa nel suo intervento ha ricordato “un fatto che oggi sembra assurdo: in Italia fino al 1975 i figli nati fuori dal matrimonio erano illegittimi (una parola violenta: non avevano diritto a nascere)”. Quindi, ha sottolineato, “non era la natura che fondava la famiglia. Si è dovuto attendere fino al 2012 per ottenere che non ci fosse più distinzione”.
A dimostrare la varietà storica del concetto di famiglia, Saraceno rammenta che “l’Europa è l’unico posto al mondo in cui presto è prevalsa la famiglia monogamica seriale (una sola moglie per volta). In altre parti del mondo hanno prevalso per molto tempo le famiglie poliginiche (presenti anche nella Bibbia)”. Eppure “in questo spazio europeo diverse modifiche a questa norma, come la convivenza prematrimoniale o le coppie omosessuali, sono state recepite prima”.
Il matrimonio sparirà?
Ma arriveremo a “sacrificare il vincolo”, e dunque ad abolire il matrimonio e, in prospettiva, perfino la coppia? Per la sociologa già il termine ‘sacrificio’ richiama un debito che non potrà mai essere saldato, come sanno tutti coloro che si sono sentiti dire dai genitori e dai nonni che si sono sacrificati per loro. “Se qualcuno sacrifica se stesso per una relazione, la contropartita non sarà mai sufficiente. Che cosa può mai rispondere un figlio a un genitore che dice “mi sono sacrificato per te”? Dovrebbe dargli la propria vita in cambio. Anche questa è una relazione. Mi piace più l’idea che una relazione sia una responsabilità, un lavoro”.
Ecco perché per Saraceno dovemmo valutare forme di relazione e legami basati sulla responsabilità, sui principi di libertà, uguaglianza e dignità personale, oltre alla cura reciproca: peraltro tutti criteri anch’essi soggetti a cambiamenti storico-sociali.
La famiglia come ambito di lavoro non remunerato
Tra questi c’è il lavoro, perché “la famiglia c’entra, con il lavoro, moltissimo“, afferma Saraceno chiarendo che non è solo una questione di come le politiche sull’occupazione impattino sulle donne e di rimando sui tassi di fecondità di un Paese, ma “innanzitutto perché la famiglia è un ambito di lavoro non remunerato” che “anche se molto spesso si concretizza sotto il velo dell’amore” non è comunque “meno lavoro”.
“Di questo lavoro non solo non se ne riconosce sempre il valore, ma diventa un vincolo alla professione remunerata, soprattutto per le donne, specie in Italia, dove c’è ancora più squilibrio fra uomini e donne nel lavoro familiare (che però diminuisce se entrambi nella coppia lavorano, sebbene mai sotto la soglia del 70-30%).
Non ci sono solo disuguaglianze tra uomini e donne nel mercato del lavoro, ma anche disuguaglianze tra donne quando varia il livello di istruzione o si hanno figli piccoli; disuguaglianze consistenti, di cui non si parla abbastanza”.
“La famiglia è uno snodo importante. Già anni fa Massimo Paci, un sociologo economico, notava che è l’impostazione familiare a decidere chi va a lavorare e a quali condizioni. La famiglia non è solo un luogo di socializzazione, di affettività, come di violenze e di odi: è anche un’istituzione economica (e di ridistribuzione economica)”, per quanto non ci faccia piacere vederla così.
Il rischio per i giovani non è l’individualismo
E il concetto di responsabilità andrebbe declinato anche sui giovani, che secondo Saraceno non sono poi così individualisti come spesso gli adulti li dipingono:
“Entrano in rapporti di coppia prestissimo, sembra che non possano starne senza, e poi fanno fatica a essere autonomi al loro interno – soprattutto i maschi”. Ecco allora che il rischio maggiore è legato a questa dimensione delle relazioni, che sfocia nel controllo (e in casi di femminicidio precoci), piuttosto che all’individualismo. Una ricerca di Save the Children mette in luce un dato preoccupante “oltre il 30% degli adolescenti, maschi e femmine, ritiene normale geolocalizzarsi con il cellulare e controllare il telefono dell’altro. Direi che è più importante questo rischio, rispetto all’individualismo”.