Come ho già detto in passato, ti leggo sempre (velocemente, come sai...ed "in diagonale", qualche volta. Ma leggo.)
Ho due osservazioni, questa volta.
Questo passaggio mi sembra possieda una qualità poetica intensa: la solitudine notturna di Nehemia, il silenzio rotto solo dalla preghiera, la figura dell’uomo che, in solitaria ispezione delle mura ferite di Gerusalemme, si fa sentinella dell’anima collettiva.
L’immagine mi appare fortemente simbolica: la città devastata diventa metafora del cuore d’Israele, e Nehemia, vegliando in preghiera, è il ponte tra rovina e rinascita, tra silenzio umano e invocazione divina.
E' corretta la mia interpretazione?
Un'altra frase mi lascia, invece, perplesso
Questo passaggio infatti, mi sembra logicamente discutibile in quanto tende a una generalizzazione implicita e potenzialmente fuorviante.
L'affermazione dà per assodato che l’opposizione interna sia “dieci volte più pesante” di quella esterna, senza offrire criteri di misurazione né esempi specifici.
Inoltre, c'è un’ambiguità sul concetto di “fratelli” al servizio del male: se erano davvero parte del popolo, va chiarita la loro posizione e motivazione. La frase risulta più retorica che analitica, efficace come ammonimento, ma fragile come affermazione storica o razionale.
Cosa ne pensi?
...essendo "critico", non dire che "sto sputando sul testo", 'sta volta![]()








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