Originariamente Scritto da
doxa
La “lettera agli Ebrei” è un testo anonimo erroneamente attribuito a Paolo di Tarso. E’ un trattato per i cristiani di origine ebraica. In questa “lettera” il “tarsiota” fra l’altro dice: “Est fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium” = la fede è sostanza (= hypostasis: ciò che resta fermo nel fluire dei fenomeni transeunti) di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede (Eb 11, 1).
Qui la fede è in connessione con la speranza, costituisce con essa un “intreccio” inscindibile. Per questo Benedetto XVI, nell’enciclica “Spe salvi”, dedicata alla speranza cristiana, indugia su questo passo: “Per i Padri e per i teologi del Medioevo era chiaro che la parola greca hypostasis era da tradurre in latino con il termine substantia. La traduzione latina del testo, nata nella Chiesa antica, dice: “Est autem fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium” - la fede è la “sostanza” delle cose che si sperano; la prova delle cose che non si vedono.
La frase è ripresa dall’Alighieri nel XXIV canto del Paradiso (64 – 66):
“Fede è sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi,
e questa pare a me sua quiditate” (La "quiditas" o "quidditas", nella terminologia della filosofia scolastica significa l'"essenza delle cose").
Il verso è la risposta di Dante alla domanda di san Pietro su cosa sia la fede: “Di', buon cristiano, fatti manifesto / fede che è?” (XXIV, 53 – 54).
Dante invoca la grazia affinché gli consenta di rispondere al fondatore della Chiesa cristiana e recita la definizione della fede “paolina”, in base alla quale essa è sostanza di cose sperate e dimostrazione di quelle che non sono manifeste.
Petrus replica dicendo che tale definizione è corretta, a patto che il poeta sappia perché san Paolo ha parlato di "sostanza" e di "dimostrazione".
Per il poeta i misteri divini, che ora gli sono "manifesti" (trovandosi in Paradiso), sulla Terra sono "invisibili" e "non sperimentabili", perciò possono essere oggetto solo di "fede", su cui si fonda la "speranza" della beatitudine.
Ha ragione Dante ? Se sulla Terra alcune cose "ultraterrene" sono "invisibili" e "non sperimentabili", esse possono essere soltanto sperate e non di fede.
La "speranza" deriva da un desiderio, invece la fede da una dimostrazione o dalla testimonianza di persone degne di fiducia.
Ergo, nessuno è capace di dimostrare l’esistenza di Dio, ma alcuni (gli apostoli) testimoniano della sua esistenza.
Fiducia e fede, sebbene connesse, sono due cose diverse. Per conseguenza, avere fede significa nel contempo aver fiducia nella credibilità altrui.
Dal sacro al profano.
Il filosofo e politico inglese Francis Bacon (1561 – 1626), latinizzato in Franciscus Baco(nus), in italiano Francesco Bacone, provò a scrivere un’enciclopedia delle scienze per rinnovare la ricerca scientifica, che voleva basata sulla sperimentazione. Di quel progetto realizzò solo il “Nuovo Organo” (“nuovo strumento”, in cui espone la logica del procedimento tecnico-scientifico, in polemica con l’Organo aristotelico.
Sir Francis dice che finché l’individuo resta imprigionato negli errori e nei pregiudizi (false credenze) non potrà mai arrivare alla vera conoscenza.
Secondo Bacon è necessario “ripulire” l’intelletto da quelli che chiama “idola” (all’incirca i pregiudizi) per costituire un nuovo sapere mediante uno strumento (novum organum) basato sul metodo scientifico.
Cono, da quanto detto vorrei che tu traessi le conseguenze, invece sei tetragono nella tua fede. Coraggio cerca di ripulire le tue convinzioni create dagli idola, dai pregiudizi che nascono dal considerare vere alcune dottrine filosofiche e religiose, nel tuo caso la religione cristiana, o meglio la mitologia cristiana, che ti rende difficile l’accesso alla “verità”.