Citazione Originariamente Scritto da sandor Visualizza Messaggio
si. ma lo stesso ragionamento vale anche per i consumi, oltre che per gli investimenti...
certo, nella misura i cui il consumatore è razionale;

si. questo però non sempre e non sempre su stretta base giuridica. ad esempio con la musica hai la siae, che è in sostanza un sindacato, molto influente peraltro. l'usufrutto poi penso sia un'altra cosa. innanzitutto perché dura per l'intera vita del titolare, poi perché si parla relativamente ad esso di beni immobili, quindi tangibili, cosa che non è una semplice idea, per quanto originale.
ti ripeto: il pagamento dei diritti è a mio avviso nella generalità dei casi non congruo, perchè si presta a facili abusi. nel mondo della musica come in quello delle idee, il plagio e ad es. lo spionaggio industriale sono nell'ordine delle cose. posso copiare una canzone modificando tonalità e accordi e spacciarla per originale. posso venire a conoscenza del progetto di un farmaco e modificare qualche componente per avere qualcosa di nuovo.
devono ricorrere analogie significative; per la chimica il principio attivo, distinto dagli eccipienti; per la musica una successione di un tot di battute con la stessa melodia; difficile argomentare il plagio, dato che le progressioni armoniche sono comunque limitate nel nostro sistema diatonico e diversivi; insomma, se prendi una canzone qualsiasi, ce ne sono certamente altre centinaia con la stessa progressione, molto più significativa di una semplice melodia di otto battute:

insomma a mio avviso la tutela della proprietà intellettuale è solo un modo, neanche troppo nascosto, per spartirsi denaro da parte dei soliti. credo sia anche per questo che le multinazionali diventano sempre più potenti. economia e elitarismo non possono andare a braccetto. pena la "lealtà" del mercato. di qualsiasi mercato.
beh, ma pensa ad uno che deve vivere di musica, uno scrittore, un giornalista free lance; creo una canzone, un cantante famoso me la copia senza pagare diritti e vende milioni di copie; oppure decine di milioni di utenti la scaricano gratis e a me non viene nulla: lo stesso per un articolo, un libro, ecc...

non siamo più nel mondo in cui la creazione intellettuale è una cosa di élites già ricche per nascita, che in qualche modo poteva giustificare una mancata tutela;


ma in definitiva penso che anche i farmaci si prestino all'arbitrio, in fase di produzione e di commercio. in italia come giustamente dici le farmaceutiche si avvalgono dei contributi e del gettito tributario dello stato per vendere i farmaci più costosi a gratis o quasi. mi domando: ci guadagnano?
questo è un altro paio di maniche, e cioè la gestione del servizio pubblico di acquisto;
la questione che ti devi porre a monte è: meglio che investa un privato, mosso dal profitto e tassabile a valle, o lo stato, che strutturalmente spreca ?
la risposta maturata nella prassi è che lo stato intervenga laddove la ricerca non è sufficientemente remunerativa per garantire un servizio che si vuole comunque, come le malattie rare, ecc...

[quote]penso che, pur non essendo un esperto, le privatizzazioni intervengano quando un determinato settore possa contare sulla concorrenza come fattore di crescita. cioè si privatizza in previsione di una domanda del prodotto tale per cui il costo può essere spalmato su una platea che è in grado di assorbirlo, e quindi non è più necessaria la presenza "calmierante" dello stato.[quote]
in teoria, se lo stato regola la concorrenza, è così; in molti settori, tuttavia - soprattutto ex-pubblicistici, permangono criteri distorsivi, anche solo in via transitoria, a causa delle garanzie che gli operatori devono fornire al servizio:
non capisco relativamente alle assicurazioni che già erano private, e assistite da un obbligo di legge. in che senso sono state privatizzate?
sulla telefonia, quella fissa o quella "cellulare"?
il settore assicurativo assolve anche a funzioni di ordine pubblicistico, obbligatorio - es.; immobili, rcauto - analogamente a quanto avvenuto col settore bancario, fino agli anni 90 di diritto pubblico, la privatizzazione implica meccanismi di tutela connessi al fine pubblico-strategico di quei settori; idem per la telefonia, le poste, le autostrade, i trasporti, ecc...
quando un privato investe in questi settori, si determina un rischio d'impresa attenuato, al quale dovrebbe corrispondere una riduzione dei profitti, a vantaggio del consumatore, via concorrenza; dal punto di vista di sistema è una circostanza di "basso profilo", perché si determina, sì, un vantaggio per il consumatore-utente, laddove funziona la concorrenza, ma si offre al capitale privato una via di fuga di fronte al rischio d'impresa elettivo;
cioè, se io produco automobili, il mio core-business dovrebbe implicare una ricerca e sviluppo per fare buone auto; quando lo stato, privatizzando, mi offre l'opportunità di destinare capitali ad attività alternative a rendimento basso, ma garantito, come le cd "utilities", erogazioni, elettricità, telefonia, gas, assicurazioni... andrebbe compiuto un calcolo marginalistico di ordine politico-economico:

da un lato il consumatore-utente, se funziona la concorrenza, ha un'utilità; dall'altro, quei settori privatizzati, per vocazione più consoni, vista la bassa redditività e la relativa "sicurezza", al piccolo risparmio privato, sottraggono risorse al rischio d'impresa e al sistema industriale, in un modo che può essere strutturalmente indesiderabile, come scelta politica, beninteso;
poi, non si può impedire l'esercizio della libertà di investire, cioè che la Fiat compri pacchetti azionari assicurativi invece di investire; ma si può fare comunque in modo di modulare l'investimento in questi settori che conservano finalità pubbliche in modo da non distrarre risorse al vero e proprio circuito privato.