Il punto invece sta nel fatto che io non mi sento affatto invulnerabile (sono pure ipocondriaco) ma vedo che il rischio che corro è minimo per cui sono disposto a correrlo. Se tutti si rendessero conto che ormai il rischio è quasi inesistente il problema sarebbe risolto. E trionferebbe la vita anziché questa squallida, stupida morte di ogni giorno. Morte che è fatta di paura, incertezza sul futuro, repressione dell'affettività con la distanza sociale e la paura di ritrovarsi in gruppo. Perché quello che trionfa è il senso di morte che leggi negli occhi della gente.

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che
fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.


(Poesia falsamente attribuita a Neruda)

Scrissi un articolo sulla paura della morte nella società moderna che è quanto mai attuale. Magari trovo il modo di postarlo, conservo ancora la rivista dove apparve.