Originariamente Scritto da
axeUgene
la questione sarebbe che una persona può piacere comunque, con tutti i suoi limiti;
l'importante è saperli vedere e - eventualmente - accettare molto presto;
ma se uno si concentra su altre esigenze fatalmente poi il tutto mostrerà gravami non ponderati;
ovvio che poi una famiglia deve necessariamente implicare un impegno reciproco, ma quando leggo di certe crisi la prima cosa che mi pare di capire è che quel partner nn si sarebbe frequentato nemmeno da amici, per quanto è limitata la stima per la persona e il piacere della sua presenza; il più delle volte ascolto recriminazioni opposte, sacrifici di quotidianità, assenza di gioia, un racconto retrospettivo da incubo; come è possibile ?
questo lo capisco, ma solo nei primi momenti della rottura;
mo', bravo, pigro o fortunato che io sia stato, mi ricordo bene dell'angoscia che ha preceduto le rotture, ma ho anche la nozione viva e concreta di ciò che mi piaceva in una persona, che ho anteposto ai difetti e che non è stato cancellato dalla fine;
non lo dico per puntare il dito e giudicare, ma solo perché a volte rendersi conto di aver avuto una parte attiva nell'errore contribuisce tanto a scardinare quella sensazione di essere vittime che predispone maluccio a ciò che si para davanti; anche perché chi si incontrerà dopo, tende di suo a scontare la narrazione e attiva meccanismi di difesa, se proprio vogliamo trarne un
utile concreto, à la Guicciardini