
Originariamente Scritto da
axeUgene
non risponderà mai;
perché in effetti la parola "dono" è un imbuto dialettico che porta alla "virtù" femminile come oggetto di scambio, che "si dà", in cambio di...
se la sessualità femminile smette di essere reificata, oggetto di scambio deperibile con l'uso, viene meno il pilastro su cui si fonda la famiglia tradizionale attorno a quel "valore" che fa parte di quel negozio funzionale in cui viene scambiato col lavoro maschile;
se io faccio il fornaio al Cairo - o al pianerottolo sotto al mio - posso "permettermi" una stabilità e un ruolo sociale comprandomi una moglie che, siccome non ha studiato, altro non può fare e si rassegna, solidale in quel sistema di ruoli;
ma la donna libera, che prende la pillola e non deve rassegnarsi, è anche spinta all'indipendenza economica, a studiare e realizzarsi, e così "minaccia" quella sicurezza di ruolo del fornaio;
quindi, se viene meno la retorica del "dono", della reificazione, e i giovani smettono di pensare che una "la dà", ma semplicemente che vive delle relazioni esattamente come il fratello maschio, a Teheran come ad Empoli, tutto il contratto della "famiglia" va rinegoziato in termini nuovi;
solo che la divergenza tra realtà di questi rapporti e immaginario cui siamo educati è talmente ampia che moltissimi non trovano alcun percorso agibile in cui collocare aspettative ragionevoli; quindi, spesso nemmeno riescono a definire la loro condizione di coppia/famiglia come buona, sufficiente o disgraziata, perché l'immaginario è nutrito solo del finale delle favole, e tutto il resto non solo è "fallimento", ma è pure ingestibile, perché manca una narrazione, un'epica della coppia reale, con tutte le incognite.