
Originariamente Scritto da
Adalberto
Sì, avete ragione, scusate, ma vi scrivevo dall’ufficio complicazione affari semplici, o quasi.

Provo a rimediare, dilungandomi un po’.
Se parliamo razionalmente di
origine, andiamo a cercarla attraverso una serie di cause che, per quanto si ramifichino, hanno pur sempre un andamento lineare, un percorso volto a spiegare passo dopo passo quello che non si conosce. Si tracciano dei percorsi e non si sa mai bene dove portino, ma si procede allinenadosi ai passi precedentemente compiuti. Anche il tempo è lineare.
Se parliamo fideisticamente di
origine, quest’ultima è come dire…il flash rivelatore iniziale. Lo stato emotivo che fa collassare il cuore e accettare la fonte, l’origine, le fondamenta di un pensiero religioso, mistico.
In questo secondo caso non si cercano le cause (percepite emotivamente) ma si spiegano razionalmente le conseguenze anche per dare solidità al pensiero, ma anche al potere che vive in simbiosi.
Avendo ottenuto la rivelazione dell’origine, con le ritualità conseguenti per risanarsi si cerca simbolicamente di rivivere il momento sacro dell’incontro con la divinità (sia in ambiente monoteistico che politeistico) oppure con la forza primordiale, con il Mana nelle variegate socierà definite animistiche.
In questo ambito anche il tempo è circolare perché in un eterno ritorno si vuole sempre rivivere il salvifico incontro con il diversamente altro da sé. E’ lì che risiede la vera realtà. Per loro.
In entrambi i casi parliamo di
origine: nel primo caso si parte dalla realtà conosciuta per cercata tramite prove ed errori, agttraverso un percorso verificabile rocesso verificato di cause ed effetti ecc.
Nel secondo caso l’origine è rivelata subito.
Non mi sembra che si parli della stessa cosa.
Le realtà che ne conseguono, come esperienze di vita, sono totalmente diverse. Oggigiorno si sovrappongono in parte nella nostra quotidianità moderna , ma loro alterità risultano più chiara se compariamo la nostra esperienza di vita occidentale con quella degli indigeni delle Trobriand del secolo scorso, totalmente immersa in un mondo magico religioso che ci è impossibile vivere e capire fino in fondo, perché abbiamo tools cognitivi incompatibili.
Forse qualcosa del genere la vive oggigiorno chi è immerso in una totale religiosità mistica, di comunità, non so..
Ma a questo punto, se posso accettare che si tratti di due realtà, intese come modalità di esperienza umana, perché mai , mi domando, io mi debba anche sforzare per definirmi, per distinguermi da una realtà altra, che non vivo e che talvolta (se non spesso) me la trovo pure intorno con modalità invadente ?
Perché devo scervellarmi (come ho fatto in passato ) per capire se io sono ateo, agnostico, senza dio o che cavolo d’altro? Perché mai devo definire una identità per differenziami da una esperienza di vita altrui che posso anche vagamente intuire, ma della quale faccio a meno con piacere da oltre mezzo secolo?
Ricordando vagamente una correlazione di Kerenyi fra la produzione musicale e la produzione di miti , io che non sono musicista (perché stonato, ignorante , incapace ecc. tutto vero) non vivo dentro l’esperienza musicale, mi domando da caprone qual sono… che me ne fotte di definirmi non-musicista?
Io mi fermo qui.
Poi, certo, il Vassapismo dice molto di più, molto meglio e c’è sempre da imparare a leggerlo.
