Quando ero ragazzino, un tipino magro, esile, con le ossa di fuori e per giunta occhialuto, oltre che calmo e posato, era facile prendermi di mira. Per fortuna ho rimosso, non ricordo persecuzioni particolari o forse non ci badavo. Agli occhi dei miei genitori ero un ragazzino che non si faceva valere, non aveva abbastanza cattiveria. E in effetti quelle volte in cui mi sono trovato a fare a botte, la mia prima preoccupazione non era se mi avessero fatto del male, ma se io, dando un cazzotto ben assestato, avessi io fatto male a loro e ciò mi sarebbe dispiaciuto. Questa esitazione in genere bastava al mio antagonista per colpire per primo e chiudere la querelle. Crescendo ho messo su spalle, massa muscolare, agilità... l'adolescenza mi ha dato quel fisico che, tolti gli occhiali, in teoria, potevo battermi alla pari, se non affrontavo Bud Spencer...
Subentravano però i paletti mentali. "E se gli faccio male?" Non so perché, ma mi preoccupavo sempre dei danni che avrei potuto causare, piuttosto che quelli che avrei potuto ricevere. Era come se mentalmente io uscissi fuori dal mio corpo e valutassi la situazione dall'esterno, come se io stesso non fossi io, come se un pugno, un calcio, uno schiaffo preso, non mi avrebbe potuto farmi niente... mentre io, con un calcio, pugno, uno schiaffo, dato, avrei potuto causare danni irreparabili. Come si spiega? Non ne ho la più pallida idea.
Crescendo ancora, superati i vent'anni, credo infine di aver maturato l'idea che a questo mondo ogni giorno è una lotta per la propria sopravvivenza, con la consapevolezza che non bisogna comunque sopraffare gli altri, piuttosto, accettare l'idea che la vita a volte ti pone delle situazioni che sei costretto ad affrontare tuo malgrado. Fuggire, tergiversare, rimandare, sarebbe peggio.
Semplicemente quel giorno hai da affrontare quel problema e prima lo fai, prima ne vieni fuori, in qualsiasi modo possibile e poco importa quale, perché il fulcro della questione è affrontare la situazione, essere determinati a chiuderla lì, quel giorno, quella determinata ora. E così ho fatto, in quelle rare occasioni.
Oggi sono ancora qui, per fortuna. Di bulli adolescenziali non ne ho incontrati più e, anche se dovessi trovarmene uno tra i piedi, ebbene è passato tanto di quel tempo, da essere cambiati entrambi. Che senso avrebbe ripensare alle cattiverie di un bambino, su un altro bambino? Quei bambini oggi non ci sono più.
Forse è questa la vera nemesi.
Quel bullo di cui racconta Dark oggi sembra lui il vero sfigato... e se ci pensiamo, chi ha esigenza di bullizzare, probabilmente è lui che ha problemi seri e magari se li trascina perennemente.
Guardando quel ragazzino che ero, provo simpatia per lui, perché ha saputo giocare e divertirsi, senza in bisogno di denigrare gli altri. Questa è una forza, un equilibrio ed u una maturità non da poco.
A pensarci bene, anche oggi mi capita di confrontarmi con amici, i quali, per affermarsi, hanno bisogno di sentirsi meglio degli altri...
Se è un amico, allora lo lascio fare... non ci bado, consapevole di ciò che sono e ciò che valgo e del fatto che non lo fa per cattiveria...
se è un estraneo, allora rimane ai margini. Si perché a prescindere se si atteggia nei miei confronti o di un altro.... lo valuto per quello che è, un sempliciotto.






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