non escludo che la tua interpretazione abbia qualche fondamento, benché l'iconografia e il senso francescani sono generalmente intesi ad uno stato di beatitudine in vita;
beh, se dice "ho gioito in vita", o anche "non puoi dare gioia agli altri se non l'hai dentro di te" la tesi della sola sofferenza è poco sostenibile;La gioia di Paolo fu questa: Ecco, sono arrivato al traguardo e ho mantenuto la fede!
Non fu: Ecco, ho gioito in vita e adesso gioirò pure dopo morto!
La morte per il credente non è il passaggio da una gioia terrena a una celeste, bensì il passaggio da una sofferenza terrena a una gioia celeste.
ma non è questo il punto, nel merito;
io ti facevo presente, quanto a metodo dialettico in relazione al senso, che se assumi la sofferenza e la privazione come segno di pregio morale e devozione, indici più o meno consapevolmente una gara alla surenchère quasi senza fine, su cui non hai alcun controllo;
basta che ci sia un qualsiasi altro predicatore che trovi un modello più ascetico del tuo e la tua credibilità è distrutta per sempre; qualunque distanza - non necessariamente tua personale, ma di enunciato - dalla santità ti relega - relega la tua predicazione - all'indifferenza; per questo hanno dato fuoco a Savonarola;
quando hai uno così, a parte le sue ragioni, non hai più alcuno spazio di agibilità;
ti accuso pure del tuo piatto di spaghetti, asserendo che dovresti contentarti di un pugno di riso al giorno; la tua casa diventa una reggia perché non è una capanna di fango, ecc...
perché questo è avvenuto tra le prime eresie pauperistiche e le guerre di religione, fino alla rincorsa di pietisti e pauperisti, giunta pure in America;
quando si producono queste dinamiche - bada, a prescindere dalle questioni di merito dottrinario - l'effetto certo è la distruzione del (prestigio del)la religione;
se vedo litigare o competere i religiosi, l'effetto è quello dei combattimenti tra cani; infatti, i religiosi intelligenti hanno smesso di beccarsi, anche se fanno fatica.