Non ho capito di che ti arrabbi.
Non ho capito di che ti arrabbi.
Pienamente funzionante e programmata in tecniche multiple
Laura se mi dici dov'è lo schifo te ne sarei molto grato. Davvero.
Qualche giorno fa è uscita una ricerca dell’Unione europea cooperative, che diceva che il 36% dei genitori che si licenziano lo fanno perché non possono seguire i figli. L’analisi proseguiva dicendo che “oltre 49mila papà e mamme nel 2018 hanno deciso di dare le dimissioni per l’assenza di parenti di supporto (27%), per i costi di assistenza al neonato fra asilo nido e baby sitter (7%) o per il mancato accoglimento dei figli al nido (2%)”.
E’ l’analisi che mi lascia perplessa. L’articolo non prende neanche in considerazione l’ipotesi che per molte donne, soprattutto, può essere molto più gratificante e impegnativo e nobile e bello prendersi cura dei propri figli. Ripeto: può. Lo sottolineo perché ne ho scritto in un post su Facebook che ha dato l’avvio a qualche polemica.
Ci sarebbero pagine e pagine da scrivere, ma cerco di chiarire velocemente qualche punto del mio pensiero.
Primo punto: io lavoro, quindi non giudico assolutamente chi lo fa. Io personalmente quando è nato il mio primo figlio volevo lasciare il lavoro (quanti pianti e discussioni con mio marito), ma non ho potuto, per motivi economici. Neanche tirando la cinghia fino a non respirare avremmo potuto vivere con il solo stipendio di mio marito, neanche con un figlio solo, figuriamoci ora con quattro.
Non giudico neanche chi lavora pur potendosi permettere di non farlo. Credo peraltro che ci siano lavori in cui si dà un contributo di bene alla costruzione di una realtà migliore, e allora in questi casi è non solo legittimo ma anche doveroso cercare di conciliare, magari mancando un po’ da casa e calibrando l’impegno fuori, perché si sta facendo del bene e vale la pena investirci.
Non sarò ipocrita, invece, dicendo che tutti i lavori sono uguali. Tutti i lavori onesti sono nobili, e anzi è più nobile fare le pulizie onestamente che la giornalista o l’avvocato disonestamente, per dire. Ma ci sono lavori per cui secondo me POTENDO SCEGLIERE non varrebbe la pena di lasciare i figli. Mi hanno dato della classista, eppure a me sembra di scrivere una cosa ovvia se dico che se devi scegliere tra pulire i bagni altrui o educare a tempo pieno i tuoi figli è meglio, ripeto, se puoi (dov’è l’evidenziatore?), stare con i tuoi figli. So che molte donne non possono scegliere, e questa secondo me è la PROFONDA INGIUSTIZIA. So che stanno con i loro figli anche mentre lavorano per poterli sfamare, e immagino che lo facciano stando lontane col cuore stretto.
Penso anche che quel 36% della statistica di cui sopra non navighi nell’oro, e che pur di stare con i propri figli faccia tanti sacrifici. Penso che bisognerebbe prendere in considerazione l’ipotesi che alcune lo abbiano scelto con amore e con gioia, anche se con paura per l’incertezza economica.
Mi pare che il tono dell’articolo sia figlio di quella mentalità che ci ha convinte che lavorare fosse comunque e sempre una conquista e un diritto, ma io non credo che sia così. E’ evidente che in alcuni casi sia una necessità. E penso che sarebbe bello se tutte le donne potessero scegliere. Scegliere in assoluto se lavorare. Scegliere quanto e come, cioè non adattarsi a un mondo del lavoro che è tutto maschile, nel senso che ha orari e tempi e regole pensati per chi non deve prendersi cura di altre persone. Scegliere di stare per un lungo tempo a casa, senza perdere il posto, per esempio. Tante mie amiche professioniste esercitano in studi, spesso del marito, o di parenti, che hanno permesso maternità dilatate, e massima elasticità per le esigenze dei bambini. Credo che questo non dovrebbe essere un privilegio, ma un diritto.
Penso che non ci sia un modo solo di essere madre, conosco ottime madri lavoratrici a tempo pieno e ottime che non lavorano. Penso che non solo il lavoro sia l’occasione di esprimere la nostra passione per la realtà, e che si possa fare tanto bene anche non lavorando, portando una torta alla signora malata del terzo piano, accudendo persone care anziane, pulendo i parchi o qualsiasi altra cosa faccia bene, non necessariamente catalogabile come lavoro.
Penso anche che educare un bambino sia più che dirigere il Cern di Ginevra, ma questa è una mia opinione, che voglio avere il diritto di ribadire. Figuriamoci se il motivo per lasciare tuo figlio è, che so, lavorare in un call center: magari quel 36% si è detto “mi godo mio figlio, piuttosto che dare tutti i soldi all’asilo o lasciarlo ai nonni e vederlo tre ore al giorno, per fare un lavoro che non rende il mondo un posto più sicuro, più buono, più bello, e dove sono sostituibile”. La speranza di ritrovare un lavoro di pari livello, comunque, c’è, mentre i posti ben retribuiti e molto garantiti non sono così tanti.
Incuranti del fatto che solo il 2% ha dichiarato di averlo fatto a causa della mancanza dell’asilo nido, gli autori dell’articolo scrivono che “i servizi legati all’infanzia hanno un ruolo strategico” (strategico il 2%?), visto che “negli asili nido italiani c’è posto solo per 1 bambino su 4, il 24% di quelli fino a tre anni d’età contro il parametro del 33% fissato dalla UE”. Questa degli asili nido è davvero una fissa (che l’UE poi stabilisca che una donna su tre debba lasciare suo figlio a pochi mesi per me è una cosa che non sta né in cielo né in terra). Non si prende neanche in considerazione, mi pare, l’idea che stare con i propri figli non sia necessariamente una condanna, un peso, qualcosa da affidare ad altri, un problema da risolvere. Cioè, io – un io ipotetico, non sto parlando di me – dovrei lasciare mio figlio a un’altra donna perché così posso andare a fare un lavoro che magari neanche amo, che non costruisce un mondo migliore, che è sfruttato e poco garantito? Scelgo mio figlio tutta la vita.
In sintesi: ogni donna dovrebbe essere libera di crescere i propri figli, se lo desidera, e tornare a casa per molte non è una sconfitta ma una vittoria. Pare un’ovvietà, anzi lo è, ma per i giornali mainstreaming no.
https://costanzamiriano.com/2019/12/...igli-e-lavoro/
amate i vostri nemici
Chissà dove starà lo schifo...![]()
Pienamente funzionante e programmata in tecniche multiple
Se un uomo usa la violenza, anche nel caso avesse mille validi motivi in una diatriba con la partner, passa automaticamente dalla parte del torto; è inescusabile. Su questo non si discute axegene. Però io ieri ti ho fatto apposta la distinzione fra matrimoni religiosi e matrimoni civili. Sai quante volte abbiamo discusso io e mia moglie? Sai quante crisi abbiamo attraversato? Sai quanti momenti difficili ci avrebbero umanamente suggerito di prendere ognuno la sua strada e tornare da mammà? Eppure non lo abbiamo fatto; eppure nessuno dei due ha costretto l'altro. Ci siamo aggrappati a Dio, questo si. E lui ci ha rialzati e tirati fuori dal bàratro. Spesso pensiamo che Dio sia un'entità astratta, lontana, perso com'è nei tanti problemi del mondo, come pensare possa preoccuparsi dei nostri? E invece è proprio così, sai. Spesso è nel nostro quotidiano che Dio agisce; magari quando abbiamo davvero toccato il fondo
"Tutti sotto lo stesso tendone blu, il Cielo di Dio, credenti di qualsiasi religione e non credenti, con la certezza che l
la violenza non è solo alzare le mani, ma anche il ricatto e la minaccia, il boicottaggio alle aspirazioni;
è ovvio che se una coppia, religiosa o no, trova un accordo dopo una crisi, il problema non si pone;
il tema generale è quello del limite a quanto puoi imporre all'altro nel vincolare la libertà altrui:
se tu sei contro l'aborto, hai un fondamento di tutela, che viene discusso in termini di soggettività del feto;
se uno ruba o uccide, io non ho remore ad usare la forza per impedirglielo;
ma se Pina vuol lasciare Gino, non si producono effetti dannosi, comprovabili; non è una questione di ordine pubblico; mentre lo è assolutamente la libertà di Pina, proprio perché il nostro sistema di valori tutela in primis la libertà di auto-determinarsi, fatti salvi i doveri verso i figli, ecc...
c'� del lardo in Garfagnana
Pienamente funzionante e programmata in tecniche multiple
Ecco, i danni dei figli depressi a seguito divorzio dei genitori chi li paga se non la collettività? I danni dei figli disorientati che si rifugiano nella droga, nell'alcol o nel bullismo chi li paga se non la società? Vedi che una rottura del patto coniugale, porta sempre comunque conseguenze
"Tutti sotto lo stesso tendone blu, il Cielo di Dio, credenti di qualsiasi religione e non credenti, con la certezza che l
ci sono anche i danni analoghi delle famiglie disfunzionali; i tossici e i violenti di 50 anni fa erano cresciuti in famiglie tradizionali in cui separazioni e divorzi erano mosche bianche;
anche qui hai testimonianze di situazioni disfunzionali che - nella sensibilità dei figli avrebbero dovuto essere interrotte;
oltretutto, vuoi mettere quanto incide nella ritrosia diffusa a metter su famiglia la percezione di un bivio obbligato tra separazione traumatica e convivenza forzosa ?
un'educazione intelligente che desideri famiglie armoniose dovrebbe prevedere tante sicurezze e paracadute in caso di rottura; già è faticoso di suo; se poi ci metti il carico da undici dell'assenza di codici sentimentali per gestire le crisi esiziali in pace e con meno rancore possibile, è ovvio che chiunque pensi non due, ma dieci volte prima di Impegnarsi, e quando lo fa, si tiene una riserva mentale di fuga, in caso di problemi.
c'� del lardo in Garfagnana
Pace, hai mai sentito parlare di felici famiglie allargate?
Comunque hai ragione, ci sono anche i depressi - soprattutto le ex mogli che hanno perso i diritti successori e con essa una cospicua eredità -. E certe perdite impoveriscono davvero la psiche... pensa a quanto mancato shopping! A quanti viaggi in meno! Tutte cose che toccheranno all'altra... quella XXXXXXA!
Sono le madri frustrate che portano i figli alla depressione, con i loro racconti ad hoc per farsi belle ai loro occhi e distruggere l'immagine dell'altro genitore.
Vale in ambo i senso, ovviamente.
Fior di studi documentano il fenomeno. Si chiama PAS (sindrome da alienazione genitoriale). Non posto nulla: in rete è pieno di testimonianze e di ricerche autorevoli in merito. Basta googlare.
Immagino che anche di questo parlate in parrocchia quando avete a che fare con le coppie in crisi.Giusto?
Fa molto più danno, al figlio, una famiglia disfunzionale, dove non ci si vuole separare anche se si dovrebbe.
Invece di fronte ad una separazione, c'è la prospettiva di due genitori che si rifanno una vita e che son felici, di una famiglia allargata, e di ricadute positive sui figli.
“Io e il mio gatto... siamo due randagi senza nome che non appartengono a nessuno e a cui nessuno appartiene” [cit. Colazione da Tiffany]
Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità [cit: Manifesto futurista] .
Il danno maggiore lo fanno le menti chiuse.
"Una mente chiusa non danneggia solo chi la possiede. Traccia confini, spegne voci, soffoca le differenze.
È una gabbia silenziosa che trattiene il nuovo, il diverso, la libertà stessa di cambiare.
Una mente aperta, invece, è come una finestra spalancata sul mondo.
Lascia entrare la luce, l’aria, le idee. Non ha paura di cambiare rotta, di ascoltare senza controllare, di fare spazio, senza dover sempre avere ragione.
Perché la vera libertà, non è solo vivere come si vuole, ma permettere anche agli altri di fare lo stesso."
Quelle sì, le menti chiuse, ne fanno di danni...