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La generazione Vittima

Lavoro

Recentemente si fa un gran parlare del disagio dei trentenni, quella mezza generazione lasciata a sé stessa, vittima dei padri, dei nonni, disillusa e abbandonata dalla politica della Seconda Repubblica e usata come carne da macello per le casse dell’INPS.

Un quadro allegro.

Spesso descritti come la principale causale delle uscite delle finanze dei genitori la cui generazione li avrebbe rovinati, sembriamo destinati a lavorare fino a 70 anni senza alcuna garanzia della pensione.

Mi piace però pensare, probabilmente anche per preservare un certo grado di sanità mentale, che le sofferenze dei miei coetanei diventino il motore non solo per una rivincita generazionale, ma anche per un risollevamento del paese.

In fondo i nostri nonni hanno sofferto in gioventù perché hanno vissuto la guerra e gli anni difficili della ricostruzione, ma hanno poi goduto in pieno del boom economico; i nostri genitori invece hanno vissuto sulla cresta dell’onda degli anni ’70 e hanno attraversato praticamente indenni le crisi economiche grazie a una congiuntura favorevole sul lungo termine che avrebbe presentato il conto solo alla loro progenie, ed è arrivato proprio ora il loro periodo difficile: dopo aver provveduto per i figli fino a garantirgli l’università, sono costretti ad aiutarli anche oltre i 30 anni e, chi più chi meno, si preoccupano della loro capacità di mantenersi anche in vista del momento in cui finiranno le risorse familiari.

In questo senso la loro fase di sofferenza generazionale coincide con quella dei figli, allegri consumatori poco responsabili durante l’onda lunga della post adolescenza, ora costretti a rincorrere in fretta i feticci dell’età adulta (casa, matrimonio, figli) senza una adeguata copertura economica, piegandoci a compromessi che non ci saremmo mai sognati di fare durante gli anni ruggenti degli studi mantenuti.

C’è una via di uscita, ci deve essere. Senza attaccarsi al mantra “non può piovere per sempre”, penso che la rivincita di questa generazione possa nascere proprio da questa fase di sofferenza, precarietà e incertezza. Così come l’arte nasce dalla sofferenza, anche la capacità della nostra generazione di rialzarsi e mettersi in prima linea per creare un futuro migliore per sé stessi e i propri figli.

Voglio dire, altrimenti che ci stiamo a fare?

Francesco De Val