Con l’avanzare e l’aumentare delle tecnologie ci stiamo abituando, praticamente giorno dopo giorno, a cedere parte della nostra privacy per poter utilizzare certi servizi o al fine di migliorare la nostra sicurezza. Il tema è stato ampiamente dibattuto anche sul forum nelle ultime settimane dopo lo scandalo che ha coinvolto Facebook e Cambridge Analytica, ma rimane all’ordine del giorno per via dei nuovi prodotti per i consumatori (come Alexa di Amazon) che vengono introdotti nel mercato, o per innovative iniziative da parte di forze dell’ordine (asiatiche, come vedremo).
Il riconoscimento facciale era stato introdotto “alle masse” anni fa proprio da Facebook per individuare, se vi ricordate, i vostri amici dalle foto e suggerirvi di conseguenza di “taggarli”. Questa opzione era stata poi rimossa perché considerata troppo invasiva, ma durante un recente aggiornamento lo stesso social network lo ha riproposto (opzionalmente) agli utenti, sia per riabilitare la possibilità di riconoscere automaticamente altre persone nelle foto, sia per assicurasi che nessuno usi impropriamente le nostre foto.
Una bella scusa, d’altronde non abbiamo mai sentito dell’amica carina con il profilo clonato? Meglio saperlo prima, certo, ma diamo ancora credito a Facebook? Se ci siamo mai fidati, si intende.
Il continente asiatico e il riconoscimento facciale
Nelle ultime settimane si sono rincorse diverse notizie relative all’utilizzo di queste tecnologia da parte di forze dell’ordine dal lontano oriente. La prima fu di febbraio, relativa – sorpresa sorpresa – alla Cina, che avrebbe iniziato a introdurre occhiali per il riconoscimento facciale con qualche significativo risultato nella cattura di latitanti ma sollevando contemporaneamente allarmi da parte per esempio di Human Rights Watch, che ha sottolineato come in un regime come quello cinese la tecnologia sarebbe potuta essere usata per tracciare più facilmente personalità politiche di minoranza (ovvero di opposizione, che è vagamente illegale) e arrestarle. Insomma, il solito Grande Fratello.
Sempre dalla “gloriosa” Repubblica Popolare Cinese una notizia decisamente sorprendente: un latitante sarebbe stato riconosciuto in mezzo ad altre 60.000 persone ad un concerto. Siamo già a questo punto, apparentemente. E se da un lato può sicuramente essere una buona notizia per la sicurezza globale, dall’altro rimane il potenziale problema dello stato autoritario che sorveglia tutti. Torna alla memoria il caso delle telecamere pubbliche e molti connazionali si spesero a dire “Chi non ha niente da nascondere non ha paura delle telecamere”, frase da richiami atlantici che tutto sommato ha trovato buon riscontro, giacché nel nostro quadro legislativo viene comunque la primo posto la tutela della privacy con la eliminazione (in teoria) dei girati in un lasso di tempo relativamente breve.
Agganciandoci alla questione normativa non sorprende quindi che siano asiatici i primi paesi ad abbracciare e sfruttare appieno la tecnologia, avendo le mani certamente più libere di usarla a piacimento.
Andiamo allora in India, notizia fresca fresca di ieri: 3.000 bambini spariti sono stati rintracciati in quattro giorni grazie alla tecnologia di riconoscimento facciale, su una ricerca che ha coinvolto 45.000 profili di minorenni ricercati dalle autorità. Quasi il 10%, un dato sbalorditivo, che anche in questo caso solleva dubbi: molto, forse troppo efficace.
Concludiamo con il Giappone: proprio oggi il governo di Tokyo ha annunciato lo screening facciale di tutte le persone in partenza verso destinazioni estere dagli aereoporti del paese dal 1 gennaio 2019. Ma la scansione dei volti dei giapponesi che escono dal paese è già iniziata, quindi si tratta “solo” di estenderla agli stranieri, sempre nell’ottica di maggiore sicurezza.
Il problema del legislatore
È fuori di dubbio che sia un passo avanti per la sicurezza, ma con maggiori tecnologie si profila all’orizzonte anche una questione normativa che diventerà sempre più delicata e complicata allo stesso tempo. La già accennata questione delle telecamere è stata superata senza grossi mal di pancia, ma il riconoscimento facciale potrebbe essere di difficile digestione, soprattutto se andrà a sovrapporsi con il problema dell’immigrazione e dei paesi europei più “spostati a destra” come l’Ungheria. Urge quindi che le autorità competenti in materia a livello europeo intervengano e delineino delle linee guida adeguate ancora prima che la tecnologia venga testata dalle varie Nazioni, anche perché il riconoscimento facciale è solo l’inizio.