Dark Souls - Metafora della vita

Dark Souls, metafora della vita

Videogiochi

Partiamo da un presupposto semplice e diretto: Dark Souls non è un gioco perfetto. Anzi, tutt’altro direi. I geodata rozzi, il controllo macchinoso della telecamera e i piccoli glitch disseminati lungo il percorso sono solo alcuni dei difetti principali dell’opera di Hidetaki Miyazaki.

Ma, e che ma, Dark Souls è un gioco speciale, perché va al di là di una semplice esperienza ludica e finisce con l’essere, per chi è in grado di superare gli scogli iniziali di una narrativa silenziosa e un tutoring ridotto ai minimi termini, una metafora della vita.

Con un gameplay semplice ma allo stesso tempo estremamente punitivo (si, perché in Dark Souls basta un attimo, una minima distrazione può costarti carissimo e vanificare tutti gli sforzi compiuti fino a quel momento) il capolavoro di From Software funge da insegnante, nel senso più banale e brutale del termine.

Alla base c’è il cosiddetto trial and error, ovvero ciò che i nostri maestri di scuola e i nostri genitori andavano ripetendoci quando eravamo bambini: “sbagliando si impara”. E Dark Souls rende questo concetto così semplice di una ricchezza inestimabile.

Per sconfiggere il boss di turno o superare un determinato punto del gioco non vi è altra scelta che provare, provare, provare, e imparare dai propri sbagli fino a diventare padroni del proprio destino.

Il risultato? Una gratificazione senza precedenti, almeno per quanto concerne i videogiochi, perché in grado di lasciarvi la consapevolezza di aver meritato un successo figlio di sforzi, lavoro e anche un certo grado di abilità. Un po’ quello che dovrebbe essere la vita, si fa per dire.