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Discussione: L’affetto allargato

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  1. #11
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    17/07/06
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    Citazione Originariamente Scritto da xmanx Visualizza Messaggio
    Da quello che scrivi si deduce il tuo limite culturale...un limite che deriva dalla tua cieca adesione al "collettivismo religioso" del cattolicesimo e dal fatto di essere una "pecora belante".
    Dove sta il tuo limite? Il tuo limite sta nell'associare l'individualismo agli eccessi dell'individualismo stesso.
    Per te NON esiste un individualismo "buono". Per te l'individualismo è solo "male". Per te individualismo è solo edonismo e narcisismo. E' pensare solo a se stessi.
    Come se "pensare a se stessi" sia "peccato". Per te uno non può e non deve pensare a se stesso...perchè ci sono il papa e la chiesa che gli dicono cosa deve pensare e cosa deve fare.

    Sei una "pecora belante"...e una pecora NON riesce a concepire la propria libertà e la responsabilità che deriva dalla propria libertà.
    Vuoi stare nel gregge delle "pecore belanti" e ti lamenti e batti i pugni perchè ci sono persone che voglio essere LIBERE, che vogliono EMANCIPARSI dal gregge, che accettano la responsabilità di vivere la propria LIBERTA'. Che accettano anche il rischio di sbagliare.

    Tu queste cose non le capisci e non le concepisci perchè, culturalmente, sei una "pecora belante"...e il tuo orizzonte culturale è il "gregge". E culturalmente NON RIESCI a concepire nulla oltre il gregge e non riesci ad andare oltre il gregge. E si deve pensare e fare solo quello che dice il "buon pastore" (che, non dimentichiamolo, sono spesso e volentieri dei pedofili).
    Il gregge è la tua dimensione. Il gregge è ciò che ti definisce. Perchè tu sei una pecora che vuole continuare a rimanere pecora e non concepisce un mondo in cui non ci siano solo pecore come te.
    Siamo Popolo, Xmanx. Non gregge. Siamo fatti per entrare IN RELAZIONE. Non per starcene da soli, coltivando il nostro io e il nostro ego....
    Quand'è che siamo felici? Quand'è che ci sentiamo pienamente realizzati? Quando entriamo in relazione profonda con l'Altro/a e con gli Altri.
    Rinnegare questo, pretendere che ciascuno viva secondo una sua morale, prescindendo e saltando a piè pari il concetto di Bene Comune, a cos'altro potrà mai portare la Società se non al suo inevitabile disfacimento? Sono queste le domande decisive che dobbiamo porci. Altro che belare, altro che pecore, amico mio.

    Il tramonto dell'Occidente, l'analisi di Ezio Mauro

    "La storia e i valori del cristianesimo fanno parte del codice genetico di quella parte di mondo che chiamiamo Occidente. Proprio il raccordo tra la coscienza e le leggi, la combinazione con le vite altrui, la definizione dei diritti, l’individuazione di una sfera pubblica ci ha resi responsabili: e la responsabilità è un’altra categoria dell’Occidente, che porta con sé il dovere del rendiconto. Significa accettare di farsi carico di un disegno complessivo, di un orizzonte più vasto, di un obiettivo comune (il cosiddetto bene pubblico) che ci obbliga a sentire un dovere più grande della nostra individualità, a tener conto di un’obbligazione reciproca, a valutare il sistema di relazione tra le nostre azioni e gli altri. E nello stesso tempo, la consapevolezza di dover rispondere di sé, il rifiuto della tentazione più pericolosa, la dismisura, che porta il potere legittimo a non accontentarsi della sovranità che ha conquistato ma a volerne anche la quota illegittima, semplicemente perché è a portata di mano. La consapevolezza della misura e del rendiconto determinano il sentimento del limite, che è un’autoregolamentazione dei singoli e una tutela del sistema. Non è nemmeno questa l’insidia più grande per il concetto di Occidente. È piuttosto nella crisi della post-modernità, cioè nel passaggio dalla società industriale su basi territoriali e nazionali, allo sfondamento spazio-temporale della contemporaneità, che cambia la nozione di lavoro, smaterializza il comando, nasconde il potere, fa saltare le interdipendenze, scioglie i vincoli, rompe la rappresentanza, allarga la portata del conflitto fino a renderlo impraticabile, o inutile. In questo nuovissimo buco nello spazio e nel tempo, il mercato è più largo della sovranità, la paura è più forte del governo, l’insicurezza prevale sulla libertà. Si cercano nella politica domestica risposte impossibili a problemi globali. Le istituzioni sovranazionali hanno la dimensione adatta alla fase che viviamo, ma non hanno l’anima, dunque la legittimità, e forse nemmeno gli strumenti. Il cittadino si sente deluso, abbandonato, tradito. L’antipolitica fa da specchio e da amplificatore ai suoi problemi, lo illude che abbiano una superficie collettiva, mentre in realtà la sua solitudine è essenziale al populismo che coglie gli sradicati ad uno ad uno nell’impotenza dell’isolamento. Perché rimangano un eterno stato d’animo, puro istinto ribelle, semplice sensazione antagonista: senza elaborare uno spirito di classe, un progetto politico, una cultura del cambiamento. La crisi ha fatto il resto. Da un lato, se i canali che collegano la solitudine privata e la vicenda pubblica sono saltati, anche la ribellione è condannata alla marginalità. Dall’altro, la crisi finora ha sorprendentemente prodotto un’egemonia culturale della “necessità”, quasi una superstizione che parla attraverso i parametri finanziari sovraordinati ai governi, al punto da diventare simbolici, trasformandosi in politica loro stessi, senza popolo, senza rendiconto, senza una competizione con un pensiero concorrente e alternativo - che non esiste -, senza porsi il problema supremo del consenso e della verifica. Il risultato di questa confisca egemonica è che l’opinione pubblica ha introiettato i codici della crisi, con il decalogo conseguente delle nuove colpe e delle moderne virtù, producendo un sentire comune intimidito e colpevolizzato, a partire dai ceti più deboli e meno autonomi. Con la politica che come conseguenza ha uniformato il suo pensiero, lo ha omogenizzato, producendo una sorta di “indistinto democratico” in cui svaporano le differenze, le tradizioni, le rappresentanze, le alternative, i segni di riconoscimento. Tutto questo è possibile perché salta il canone occidentale. In parte per la sensazione di ingovernabilità della crisi, l’angoscia di un mondo che ha perso il suo controllo e spinge il cittadino senza cittadinanza a mettersi in proprio, cercare vie d’uscita individuali e sentimentali, nell’emotività della rabbia e della frustrazione, perché politica, governo e Stato non garantiscono protezione. Poi per la dimensione sovranazionale delle emergenze - sfida terroristica, ondata migratoria, precarizzazione della vita - che sembrano incontrastabili e determinano un senso di insicurezza crescente a cui il potere legittimo non sa più rispondere. Infine per il venir meno del lavoro che non incide soltanto sul reddito e sul futuro delle famiglie ma sulla materialità stessa della nostra democrazia, che ha avuto il lavoro come obbligazione volontaria al centro dell’alleanza occidentale tra capitalismo, welfare e rappresentanza politica. Non è un caso che insieme con lo spazio occidentale finisca sotto attacco il pensiero liberal-democratico, che ha costruito qui le condizioni politiche e istituzionali perché destra e sinistra modellassero nel tempo se stesse come culture di governo, facendosi distintamente carico dell’edificio occidentale che insieme abitano, in cui si riconoscono e di cui si sentono responsabili. Oggi il pensiero liberale è già probabilmente minoranza nel mondo in ci viviamo: che continuiamo a chiamare Occidente mentre si sta riducendo a puro segno geografico senza una proiezione culturale e politica che lo renda riconoscibile nelle sue diversità. È una civiltà in gioco, qualcosa in più di una partita di potere. Ciò che noi siamo, o almeno ciò che vorremmo essere."

    https://espresso.repubblica.it/plus/...dente-1.296602

    L'Espresso eh....non Famiglia Cristiana...non Avvenire....non l'Osservatore Romano.
    Ultima modifica di conogelato; 24-09-2020 alle 00:56
    amate i vostri nemici

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